La microfusione, nota anche come investment casting o fusione a cera persa, è un processo atto allo sviluppo di componenti complessi in metallo (principalmente acciaio e alluminio), dagli spessori variabili e con proprietà meccaniche differenziate, utilizzati nell’industria elettronica, aerospaziale e biomeccanica. La precisione e il dettaglio che contraddistinguono i prototipi e componenti finali da microfusione sono dovuti all’impiego di modelli sacrificali (pattern) realizzati in materiali facili da formare (cere e polistireni).
La tecnica poi si distingue perché industrialmente usa cassette per formare le cere mentre per i prototipi si ricorre alla stampa 3D dei polistireni o allo stampaggio siliconico di cere ottenuto da master stereo-litografati per la realizzazione dei cosiddetti modelli sacrificali.
Come accennato, la microfusione è una tecnica di produzione molto antica ma che grazie alle moderne tecnologie ha raggiunto un nuovo livello di precisione.
Questo processo prevede la creazione di modelli sacrificali in cera o altro materiale facilmente “evacuabile” (i materiali che ad oggi vengono impiegati sono la cera, il polistirene PS, il polimetilmetacrilato PMMA).
I sacrificali vengono rivestiti da un materiale inerte (gesso per leghe a bassa temperatura di fusione come l’alluminio o ceramica per leghe ad alta temperatura di fusione come gli acciai) tramite una o più immersioni.
Una volta che durante la cottura lo strato esterno si indurisce, il modello interno si dissolve (nel caso delle cere si liquefa e cola da fori di drenaggio, nel caso dei polistireni si brucia lasciando solo 0,05-0,1% di ceneri) lasciando uno guscio cavo. Questo guscio può quindi essere riempito con metallo fuso, che, una volta solidificato, assume la forma esatta e il grado di dettaglio del modello originale. Il flusso di metallo che riempie lo stampo porta fuori i piccoli residui di cenere o cera a mano a mano che riempie gli spazi del guscio cavo.
Spesso nella fusione a cera persa si usa raggruppare diversi pezzi identici lungo un canale discendete, questo crea una struttura ramificata che prende il nome di “grappolo”.
Al termine della solidificazione il guscio viene lavato, se è di gesso, rotto se è di ceramica per esporre il grappolo di oggetti metallici che ha preso forma. Si procedere quindi con le operazioni meccaniche necessarie per liberare le figure che ora sono in metallo solido (taglio, sbavatura, molatura, ed in fine sabbiatura per conferire una grana omogenea ai pezzi).
I modelli sacrificali funzionali alla creazione di gusci particolarmente dettagliati per le operazioni di microfusione possono essere realizzati mediante tecniche di stampa 3D con appositi materiali che, previ trattamenti, si dissolveranno lasciando residui minimi durante la fase di cottura. Vediamo con quali materiali e tecniche è possibile stampare i modelli per microfusioni.
Mediante stampa 3D diretta in polistirene o PMMA digitale si ottengono modelli sacrificali in tempi brevi ma poco dettagliati (precisione di ±0,12mm per il polistirene e 0,24mm per PMMA) e dalla superficie rugosa.
La rugosità superficiale di questi modelli da stampa diretta può essere addolcita con bagni in cera liquida, tuttavia questa può deformare i modelli.
Per microfusioni più compatte e dettagliate (±0,05mm) è più indicato sfruttare una colata di cera fusa all’interno di stampi in silicone ricavati con master stereo-litografici.
Tuttavia, usando master fresati a CNC si può arrivare anche a ±0,02mm.
Chiaramente l’impiego di tecniche che permettano dettagli sempre più alti fa crescere anche
i tempi e i costi però permette anche di ottenere prototipi sempre più vicini al prodotto industriale.
La stampa 3D permette di creare modelli per microfusione dalla struttura complessa ed estremamente dettagliata, difficilmente ottenibili con altri metodi o con la stessa rapidità.
L’approccio integrato di microfusione e prototipazione rapida ha così lo scopo di efficentare la produzione riducendone tempi e costi, nonché di garantire risultati di alta qualità per un’ampia gamma di settori.
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